Poi, un giorno, i dottori ritennero opportuno farmi tornare per qualche giorno a casa.
Ne approfittammo per riflettere, decidere, accettare, accogliere. Le poche persone che in quei giorni vennero a farmi visita rimasero sconvolte dal mio aspetto.
Lui non fu clemente con me. Mi trasformò in quella che non ero mai stata, spropositata e smunta. In quei giorni lontano dall’ospedale guardavo la tv, mangiavo e ascoltavo gli altri parlare.
Accarezzare la pancia e sentire mio figlio era l’unica cosa bella che avevo. Insieme all’immaginazione e alla fantasia che mi facevano vedere oltre quel mio presente, mi facevano vedere una vita lontana dalla malattia. Una vita felice. Mi facevano immaginare tutto ciò che di bello poteva ancora esserci.
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